A diciannove anni mi sono iscritta a Scienze Politiche. E dopo poco volevo abbandonare gli studi.
Ero depressa e stavo male.
Seguivo ormai un solo corso, Storia Moderna. La cattedra era di uno di quei Professori che sono una leggenda in facoltà e nel mio caso anche nel panorama scientifico italiano.
Stavo così male che ormai nulla mi importava più. Alzarmi dal letto, uscire con gli amici, mangiare, ascoltare la musica. E dopo aver iniziato con fatica un percorso di cura con uno psichiatra guardavo con sospetto a tutte queste cose che facevo come piccolo dovere, come un esercizio per allenare i muscoli.
Ma c’era una cosa che mi piaceva ancora: andare a lezione a sentire quel Prof parlare di guerre e armistizi, spaccature culturali e grandi uomini che dominavano un intero continente.
Non era la materia in sé ad appassionarmi.
Era lui.
La lezione era una via di mezzo tra una puntata di Crime Investigations con il modellino della Bastiglia e un accorato racconto dell’appello dei viceré. Senza spero grandi offese posso dire che lui non mi insegnava nulla di più che non potessi leggere da sola, lui mi ispirava a farlo.
Oggi ho fatto lezione all’Universita di Milano e ho parlato dell’advocacy con un focus sull’attivismo digitale. Un paio di volte mamma mi ha chiesto come costruisco una singola lezione: io seguo l’esempio del Professore. Cerco di spiegare bene e praticamente una cosa specifica, condividendo con onestà anche trucchi del mestiere, ma poi cerco di ispirare gli studenti.
Oggi una ragazza mi ha detto che vuole fare quello che faccio io. E io le ho risposto che spero diventerà anche più brava.
Dopo un anno di così tante lezioni tra Università pubbliche e private, licei, associazioni nazionali ed europee, organizzazioni, scuole di formazione per ragazz* e Centri Anti Violenza, sono estremamente riconoscente alle prof e ai prof che mi vogliono nei loro corsi e mi prestano le loro cattedre.
Se lo raccontassi all’Isabella che a diciannove anni stava per abbandonare gli studi non ci crederebbe.