Siamo entrati nella storia di Antonella cercando di non fare troppo rumore: la prima cosa che ci siamo chiesti è stata se ne avessimo il diritto, se lei, che ha scelto il silenzio, che si è sottratta agli sguardi invadenti, ai pregiudizi e all’insensibilità di chi non la capiva, avrebbe approvato. La
risposta l’abbiamo cercata in quel poco che di lei è sopravvissuto – parole e disegni, raccolti nel diario postumo #Iosonocomeilmare – e nella profondità del sentimento con cui suo padre, Domenico Diacono, ci ha parlato di lei, facendocela conoscere. E ci è sembrato che ci dicesse di sì,ci è sembrato che quelle parole e quei disegni Antonella li avesse lasciati perché noi arrivassimo a lei, ci è sembrato che i sogni e gli incubi di Antonella reclamassero un’attenzione a un ascolto che potessero rendere il suo dramma d’aiuto a quanti vivono le stesse angosce, chiusi nel medesimo isolamento. Non solo, ci è sembrato che schiudere la porta sulla profondità del disagio di Antonella potesse divenire occasione di riflessione e autocritica per tutti coloro che al disagio degli altri rimangono sordi, indifferenti, o, peggio, che del disagio degli altri sono causa.

E’ cominciato così un percorso rivolto a ragazze e ragazzi della prima classe del liceo scientifico Borsellino e Falcone di Zagarolo, (adolescenti di quattordici anni, l’ età che avrebbe oggi Antonella), attraverso il disagio giovanile, quel sottile male di vivere che accompagna in forme diverse la prima adolescenza e che, se coniugato con la solitudine, può togliere il gusto della vita. Con il supporto costante dello psicologo, il dottor Mauro Busca, i ragazzi sono stati invitati, partendo dalle parole e dai disegni di
Antonella, a riflettere sui temi dell’identità (chi siamo? come ci percepiamo? come pensiamo che gli altri ci percepiscano? quali modelli rincorriamo?), della diversità (Chi è il diverso? E’ diverso da cosa? Quante diversità ci sono in ciascuno di noi?) dell’ascolto (Sappiamo ascoltare? Quante voci interiori rimangono inascoltate? Quante volte preferiamo il rumore al silenzio?), della solitudine (Che cosa si prova ad essere soli? Ci accorgiamo della solitudine dei compagni? Quante volte
fingiamo di essere diversi da quello che siamo pur di non rimanere soli?), della marginalizzazione (chi escludiamo dal gruppo? e perché? la funzione di un gruppo è quella di accogliere o quella di escludere?), del rapporto con gli adulti (ci fidiamo degli adulti? Quanto è difficile aprirsi con un adulto? Rifiutiamo di aprirci con gli adulti perché non potrebbero capirci, perché non vogliamo deluderli o perché non vogliamo essere giudicati?).

Tanti interrogativi di fronte ai quali i ragazzi reagiscono con tutta la sincerità e la passione di cui sono capaci: discutono, si raccontano, si emozionano, a volte piangono ma non si tirano indietro e continuano a cercare se stessi mettendo al muro stereotipi e mascheramenti. E’ un percorso lungo che ha preso le mosse dall’analisi che ogni ragazzo ha fatto della definizione che Antonella dava di
sé stessa “Io sono come il mare”; e che ancora non sappiamo dove ci porterà. L’unica certezza è che
la scuola – quando è davvero comunità educante – rimane il posto migliore dove rompere l’isolamento e affrontare con le armi della comunicazione, della consapevolezza, della razionalità e, perché no, della humanitas, tutti quei mostri che agitano il fondo del mare e ci impediscono di veleggiare verso l’età adulta.

Dramateach Company


#iosonocomeilmare