Oggi la redazione della #Dramateachcompany ha avuto la possibilità di intervistare il papà di Antonella, Domenico Diacono. Antonella, una ragazza sensibile, di intelligenza acuta,”speciale”, ha deciso di metter fine alla sua giovane vita per problemi adolescenziali a noi ed ai genitori sconosciuti. Proviamo ad avvicinarci a lei in punta di piedi, attraverso le immagini e i ricordi toccanti che il papà ci consegna.
D: Nella quotidianità di Antonella, com’era il rapporto con sua figlia?
Domenico: La mattina sono sempre il primo ad alzarmi, per preparare la colazione al resto della famiglia. Lei era la seconda, veniva da me e la prima cosa che faceva nella giornata era abbracciarmi. Magari ero vicino al frigorifero, la porta aperta, in una mano il bricco del latte, nell’altra il succo di frutta in precario equilibrio.
Mi diceva spesso “ma tu lo sai che ti voglio tanto bene?”, io le rispondevo “aspetta che me lo scrivo”, e lei si arrabbiava, per finta ovviamente. Era un nostro scherzo, ma adesso non lo rifarei. Le direi che la amo più della mia vita.
Come, mi dicono, spesso accade con le figlie ero propenso a giustificarla un po’ troppo, e un poco venivo rimproverato per questo dal resto della famiglia.
Condividevamo la passione per la lettura, anche se di generi differenti. Ogni tanto ci incontravamo sul divano con un libro in mano.
Negli ultimi mesi siamo andati insieme a teatro ad ascoltare musica lirica, e vedevamo e commentavamo insieme una serie televisiva su Netflix, quando mia moglie e mio figlio erano fuori per la palestra. Era il pretesto per discutere di giustizia, o di social network, o di personalità, o di qualsiasi cosa ci venisse in mente o suggerisse il telefilm.
Discutere con lei però era impegnativo, perché le critiche e in genere le opinioni contrarie le gestiva piuttosto male: invece che litigare su un argomento interrompeva tutto e scappava via. Che poi era la stessa cosa che succedeva quando vedeva una scena emozionante in tv. Le emozioni la travolgevano, direi le sue tanto quanto quelle degli altri. E’ il motivo forse per cui con tutti era attentissima e cortese.
Aveva avuto qualche voto insufficiente a scuola, e così da qualche tempo quando tornavo alle 18 rivedevamo insieme i compiti. Lei all’inizio si era opposta, perché non voleva che tornando stanco dal lavoro poi mi stancassi con lei, ma per me era davvero una gioia; credo che poi l’avesse capito, infatti quando, al ritorno, rimanevo per un poco in cucina a parlare con Angela, mi chiamava per ricordarmelo.
Quando usciva da scuola il nonno andava a prenderla per accompagnarla a casa. Ma qualche volta non poteva, per cui mi facevo trovare io con la moto fuori dal liceo. E lei era sempre felice. Una volta le ho chiesto se per caso, per evitare che la vedessero gli amici, volesse che l’aspettassi a qualche metro di distanza, non volevo metterla in imbarazzo… mi ha guardato come fossi una specie di marziano e mi ha rimproverato. Lei era orgogliosa della sua famiglia. Io pensavo sempre, vedendola scendere le scale, che fosse la ragazza più bella dell’intero liceo; purtroppo non ricordo se gliel’ho detto.
Si divertiva ad andare in moto con me, dal suo primo giro quando era piccola, e ad ogni occasione buona mi gettava le braccia al collo.
Certo era un periodo di cambiamento, stava crescendo, abbiamo avuto anche giorni in cui viaggiavamo su binari paralleli, ma siamo stati sempre vicini, ci bastava un gesto per ritrovarci.
D: A suo giudizio, da cosa nasce il disagio dei più giovani rispetto alla realtà in cui vivono? Rispetto a cosa si sentono inadeguati? Quali timori li opprimono?
Domenico: Posso partire dall’idea che mi sono fatto, a posteriori, su Antonella.
Io credo che si sentisse inadeguata innanzitutto rispetto ad una immagine di se che lei stessa si era costruita, frutto però di aspettative esagerate. Non le nostre, o quantomeno non solo, soprattutto erano le sue aspettative a condizionarla. Per esempio quando ebbe un brutto voto a scuola, voleva rinunciare ad andare al concerto di Caparezza perché secondo lei “non lo meritava”. E abbiamo dovuto convincerla noi che non c’entrava nulla, che il problema della scuola lo avremmo affrontato in un altro momento, che non doveva punirsi. Lei però da sé stessa voleva il massimo, e soprattutto lo voleva subito. Lo scontro con i suoi limiti, con il suo essere una ragazza che aveva bisogno di tempo, lo ha vissuto molto male, con impazienza e frustrazione.
Da dove provenivano queste aspettative? Io credo che quella di Anto sia una generazione che va veloce come nessuna è mai andata, e lascia indietro chi ha bisogno di tempo e riflessione e silenzio. Bisogna essere popolari (i like, le visualizzazioni), sempre al top perché il debole, o chi prende brutti voti (in qualsiasi forma si presentino) è uno sfigato, uno che non vuole impegnarsi, un perdente. Io credo che Anto vivesse male il confronto con quelli che la società ritiene i “modelli vincenti”, l’amica popolare che cambia un fidanzatino al mese, la compagna che studia e ha bei voti, il nickname che scrive storie da migliaia di visualizzazioni. Credo si sentisse in qualche modo inferiore a questi modelli, proposti come gli unici con un loro valore intrinseco; anche se magari coscientemente era in grado di dire a se stessa che il suo essere diversa era un bene, “mi devono amare così come sono” diceva, questa distanza la sentiva dentro come un peso insostenibile. Ecco questo è forse il punto: il sentirsi inadeguati rispetto al modello richiesto per essere popolari e vincenti, il timore di non essere all’altezza, e subito, ora, non c’è tempo per aspettare.
Una parte di responsabilità ce l’ha anche, secondo me, chi tra genitori e docenti avalla ancora l’idea che il voto definisca gli studenti anche come persone: è una logica aberrante che poi viene interiorizzata e passa anche all’esterno.
Mi è capitato più volte di sentire adulti dire che non riuscivano a capacitarsi come una ragazza che “andava male” a scuola potesse scrivere le cose che Anto ci ha lasciato, così profonde e così ben scritte. Ecco, questa domanda credo esprima bene questo equivoco.
D: Secondo lei, perché Antonella “aveva deciso di combattere da sola”? Che cosa pensa che l’abbia scoraggiata dal rivolgersi al mondo degli adulti o dei “pari”?
Domenico: Magari avessi una risposta certa.
Posso ipotizzare che una parte l’abbia giocata un tratto del suo carattere, la caparbietà nel voler fare da sola, che si è sempre espressa in tanti modi differenti. Ad esempio parlavo prima dei compiti: mi ero offerto di aiutarla sempre non solo nel controllare, ma proprio nel fare insieme i compiti di matematica, materia che per lei era piuttosto ostica. Ma lei non è mai stata d’accordo su questo: voleva fare da sola, e eventualmente chiamarmi solo in casi estremamente difficili.
Anto era orgogliosa. Non piangeva mai, non so forse aveva paura di apparire debole, o di perdere il controllo delle proprie emozioni, o voleva dare questa immagine di se come di persona allegra, ironica, che andava oltre i fastidi materiali. Perché è quel che voleva essere, ed invece dentro ne soffriva.
Non ha parlato forse perché non trovava le parole per dire quel che sentiva, o perché pensava che ci avrebbe dato un dispiacere e ci avrebbe deluso, o che sarebbe stata di peso, cosa che lei evitava sempre con tutte le sue forze. Forse aveva paura di essere etichettata come svitata, definitivamente e per sempre diversa, o era sicura che noi o i suoi amici non avremmo mai potuto capire quel che lei stessa non capiva. La verità è che non lo saprò mai, e mi rimarrà sempre il peso di non essere stato il tipo di persona con cui si sarebbe confidata.
Quel che sto dicendo, impiegando tutto il tempo che posso, ai ragazzi che incontro è questo: non abbiate paura a parlare, perché scoprirete che quel che a voi sembra assurdo e unico è condiviso da tante persone, si può affrontare e a volte vincere.
Anto non è una eroina tragica. Lei voleva vivere, e lo ha dimostrato e scritto tante volte. Non è riuscita a realizzare i suoi sogni perché non ha chiesto aiuto quando ne aveva la possibilità.
D:Come pensa che gli adulti dovrebbero rapportarsi al mondo dei propri figli e più in generale al mondo degli adolescenti?
Domenico: Una ragazza ci ha detto che la storia di Anto le ha insegnato che bisogna prendersi cura degli altri e di se stessi. Ecco, prendersi cura, non preoccuparsi. Spesso siamo preoccupati, ansiosi che non si facciano male, che facciano i compiti, che abbiano bei voti, che siano in salute.
Prendersi cura è altro, è ascoltare invece di sentire, è osservare invece di guardare, è quello “scavare” sotto i pregiudizi che Anto ha voluto indicarci come compito a casa, nell’attesa di rivederci.
Il pregiudizio più forte con i nostri figli e gli adolescenti è quello di conoscerli già, di essere capaci di capirli con una semplice occhiata, senza sforzo. Ed invece è solo mancanza di coraggio, il coraggio di guardarli con vero interesse, con il rischio di trovare una sofferenza, pronti a metterci da parte per fagli spazio, e pronti anche a mettere in discussione il nostro crederci bravi genitori se questo serve a essergli davvero vicino.
D: Quale immagine di Antonella conserva più nitidamente nel suo cuore?
Domenico: Apro la porta di casa. Lei è seduta sul divano, a sinistra, sta vedendo la televisione, o leggendo. Appena mi sente gira sorridente il capo, esclama “Ehi papino bello!”, mi sembra ancora di sentirla, lascia tutto e corre a baciarmi ed abbracciarmi stingendomi forte. Poi scappa nella sua stanza, perché si è emozionata.
Spero con tutte le mie forze che succeda ancora quando la raggiungerò.