Non c’è una foto ma c’ero anche io.
Come sempre è stato emozionante. La storia di Anto non è uno spettacolo, non ha una morale facile, non è una storia di resistenza, ma di fragilità.
Io non ho un copione da seguire perché dire le stesse parole mi fa paura. Ho paura di abituarmi, non voglio diventare uno di quelli che per anni ripete sempre le stesse cose, automaticamente.
Per “fortuna” però vorrei dire molto più di quel che riesco a dire, e poi non so bene come farlo in quel particolare contesto e giorno, e quindi provo a metterci tutto me stesso, con tutti i miei limiti. Ogni volta è ritrovare Anto. Non so se basta. Non lo so proprio. A volte è evidente di no, ma ieri mi è sembrato di si, che si sia vista e sentita Antonella nel mio discorso.
Mi hanno scritto un biglietto: “Anche io, anche io ci sono passato/a, a 13 anni, capisco Anto. Ora sono qui, e sto bene.”
Se raccontare di Anto può servire perché altri rimangano qui, non si vergognino di chiedere aiuto quando è necessario, non cedano alla retorica del “dolore che fa crescere” da affrontare da soli a tutti i costi, continuerò a farlo, con tutti i miei limiti, fino a quando potrò, fino a quando mi inviteranno a farlo.
Grazie a Sara Mascolo e a Giuseppe Del Grosso per l’invito e per i loro interventi (ho preso appunti ), a Pino Tucci, a tutti i docenti e i ragazzi del liceo Pestalozzi.
Non perdiamoci di vista!