Osservando coloro dal quale si è circondati basta poco tempo per rendersi conto degli stereotipi di ragazzi e ragazze che dominano la scena sociale. La cosiddetta “Norcineria”, luogo d’incontro dei ragazzi più noti di Bari, di chi vorrebbe diventarlo o di chi si crede tale, è un ambiente nella quale esistono formalmente delle regole che determinano le modalità di comportamento da seguire per farne parte.
Sono regole che fondamentalmente privano il singolo della propria individualità, costringendolo a seguire le mode mondiali o italiane. Oppure obbligandolo ad acquisire un atteggiamento di superiorità nei confronti di coloro che non fanno parte del gruppo, solo per averne l’approvazione, forzandolo talvolta a compiere azioni che si è sempre ripromesso di non fare.
Questa nostra società è ormai improntata sull’omologazione, volta a sfornare cervelli indirizzati verso un unico obiettivo, come se le giovani menti fossero un oggetto da produrre in serie.
C’è chi comprende questo e decide di allontanarsi dai più, edificando il proprio essere su fondamenta innovative o differenti, facendo emergere le proprie passioni, condividendole con il mondo o con la realtà in cui si vive.
Basti pensare a tutte le band e i cantanti emergenti sul territorio barese, che attraverso le loro canzoni cercano di trasmettere alla gente messaggi importanti, mostrando esplicitamente quel che sono.
Nel mentre il resto continua la marcia verso la standardizzazione, in fila indiana, diventando loro stessi le fondamenta di una società dominata da poche menti potenti. L’aspetto più inquietante è che tali persone non sono consapevoli della loro reale condizione e ritengono, invece, di essere parte di un gruppo in cui vedono rispecchiate le proprie idee. Ma queste sono realmente frutto di una loro riflessione?
Di fatto, le loro idee risultano essere state indotte da coloro che governano la mentalità del ceto medio, per un semplice tornaconto personale. E tutto questo vale realmente anche una sola vita umana? Come poter metter a confronto il benessere di pochi con il malessere di tanti e con il falso benestare di una molto più vasta fetta della popolazione?
Non si parla di un malessere fisico, correlato alla condizione economica od a qualsiasi altro aspetto legato alla propria condizione di classe, ma di un malessere psicologico, legato all’esclusione dalla società stessa in cui si vive, che cataloga coloro che si diversificano dalla massa come strani, e non nell’accezione positiva del termine, e talvolta anche mostri.
Ebbene, chi trova la forza di uscire dalle righe, deve anche trovare la forza di edificarsi autonomamente, tenendo conto delle scorribande di coloro che si rifugiano tra la folla, i quali pensano che tale comportamento sia caratteristica di una persona forte, matura, unificatrice delle masse sotto il suo pensiero, persuadendosi di essere il leader della micro-società di cui è membro. È un continuo ciclo di distruzione e ricostruzione dell’io.
Non serve pensare in grande o cercare notizie di città lontane per trovare esempi che rappresentano perfettamente questa assurda ma così drammatica e reale situazione.
Pochi conoscono il nome Antonella Diacono, ma sicuramente tutti sono a conoscenza del fatto che durante la fine del 2017 una ragazza di quasi quattordici anni abbia fatto un salto nel vuoto, ponendo fine alla sua vita. La prima cosa che sorge spontanea alla mente è chiedersi il come o il perché una così giovane anima abbia mai potuto prendere una decisione così improbabile.
Innanzitutto, per arrivare a comprendere il motivo di questo gesto è necessario comprendere che Antonella non era assolutamente una semplice ragazzina, lei aveva già capito tutto nonostante la sua tenera età, come aveva fatto Rosso Malpelo, protagonista dell’omonimo racconto di G. Verga: un piccolo ragazzino dai capelli rossi costretto a lavorare in miniera, dopo la morte del padre. Malpelo, fin da piccolo, fu trattato come una bestia, come un capro espiatorio per l’avvenimento di episodi disastrosi, solamente per il colore dei suoi capelli. Passò tutta la sua vita pensando di essere un mostro, perché, in conclusione, se nasci con la consapevolezza del fatto che per la società sei sbagliato, è impossibile che la visione di te stesso sia differente da quella di coloro dal quale sei circondato. Questo Antonella lo aveva capito benissimo, proprio lei scrisse:
“Se tutti ti dicono fin da piccola che sei un mostro finisci con il diventarlo”.
La storia di Antonella, infatti, non risulta essere così differente rispetto a quella di Rosso Malpelo. Per la società lei era orribile, egoista, brutta, poco atletica, idiota, pigra, antipatica e falsa. Descritta in questa maniera chiunque avrebbe potuto pensare che lei fosse realmente un mostro, ma chi l’ha conosciuta realmente sa che gli unici due aggettivi corretti, tra quelli enunciati antecedentemente sono pigra e poco atletica.
Il mondo ha dipinto di lei aspetti inesistenti per colmare immediatamente quei vuoti dettati dalla sua iniziale introversione. Ma dentro quelle impotenti mura si nascondeva una delle persone più strabilianti che il genere umano avrebbe mai potuto offrire, il quale, però, è stato così inaccorto e insensibile da spingere quest’anima pura a macchiarsi del proprio sangue.
Antonella aveva un’elevata sensibilità ed empatia per chiunque e per qualunque cosa. Il padre, nella lettera scritta il giorno in cui Antonella avrebbe compiuto quattordici anni, racconta:
“Era attenta a chi stava male, nell’ultimo saggio di teatro ha semplicemente regalato il suo bouquet di fiori alla sua amica che non ne aveva avuto nessuno. Così, senza aspettarsi nulla in cambio.”
Un gesto che smentisce da solo le brutture che le venivano attribuite.
Ha sempre percorso la sua strada e non s’è lasciata trascinare dal mondo e dalla sua frenesia. Non ha mai nascosto la sua vera natura ma s’è sempre mostrata senza filtri a chiunque incontrasse, timida ma sempre sé stessa. Sembrava essere incurante delle pugnalate inflitte nella schiena, all’altezza del cuore, da coloro che riteneva amici. Tutto ciò le fa onore, perché quasi nessuno avrebbe avuto il coraggio di lasciare il viso e le spalle scoperte in un mondo dove ognuno rimane con le spalle al muro cambiando maschera ogni volta che cambia stanza.
S’è mostrata forte affrontando tutto ciò, ma la debolezza l’ha colpita quando ha deciso di affrontare tutto questo da sola, mostrandosi sorridente e mai cupa quanto il suo cuore.
Il padre di Antonella, come i genitori di molti altri ragazzi, si è domandato il perché sua figlia abbia deciso di tener nascosto questo morbo alle poche ed uniche persone che realmente l’amavano. La risposta a questa domanda può sembrare la più insensata ma è la verità, la quale, però, fa ancor più male del rimanere nell’ignoto. Il motivo per cui Antonella, io e molti altri ragazzi, che si sentono alienati da questa società, ha deciso di nascondere il tormento interiore, soprattutto ai propri genitori, è la convinzione che l’unico alleato, ma anche rivale, sia il tempo, e che nessun altro possa, attraverso il proprio sostegno comportare un netto miglioramento della sua condizione. Questo l’ha portata ad evitare di rendere partecipi del suo malessere coloro che l’hanno amata, i quali, però, anche se in maniera impercettibile, sono riusciti a cogliere quello che voleva nascondere. Nonostante la consapevolezza del significato di questa affermazione:
“Non nascondere il dolore a chi ti è vicino, perché non sarai il solo a cadere nell’oblio”
(cit. @inchiostrodellanima*1),
lei testarda, a testa alta, ha continuato a recitare in un ruolo completamente opposto alla sua reale condizione, mentendo al mondo, mentre ripeteva inesorabilmente a sé stessa che il tempo è lenitivo.
Si è affidata ad un futuro ignoto, auspicando che, dopo aver attraversato la coltre di nebbia inondante la sua strada, le si prospettasse una migliore condizione di quei pochi metri che riusciva a scorgere nello sfondo grigio, privo di raggi solari.
Sognava un mondo in grado di cogliere le sue qualità, coltivarle e metterle a frutto, rendendo l’esile ramoscello rinsecchito che era, in un albero dal solido tronco e dalla folta chioma, dispensatore di pace.
Rincorreva quella porta di luce alla fine della buia galleria, colma di fantasmi e spettri, di mostri dentro gli armadi, di licantropi dai denti affilati, dalla cupidigia delle lupe, dalla superbia dei leoni e dalla lussuria delle lonze. Li ha affrontati con i suoi supereroi preferiti, fino all’estremo delle forze, non ha mai chinato la testa.
Ma questa lotta continua l’ha stremata. Le sue urla erano solamente sordi richiami per il mondo esterno ma un eco tagliente nell’oscura semiluna, che era la sua anima frastagliata.
Alla fine ha ceduto. Non è riuscita a sconfiggere il male che l’è stato iniettato ed è stata sopraffatta. È stata costretta a spingersi laddove non sarebbe mai dovuta salire, sporcando per l’ultima volta la sua anima di rosso.
Antonella non è stata l’unica ragazza che ha deciso di percorrere il sentiero più veloce, e purtroppo non sarà l’ultima. Ci sono migliaia di ragazzi che quotidianamente convivono con la consapevolezza di essere sbagliati e immeritevoli di esser parte di questo mondo, quando in realtà dovrebbero essere i primi a ricevere il meglio che la società può offrire. Per tutti quelli che avvertono questo senso di insofferenza perenne ed implacabile, non pensate di essere incompresi da tutti, non pensate di essere gli unici, “non siete i soli!”.
note: 1.nome della pagina Instagram dedicata alla prosa e alla poesia inedita di Andrea Epicoco
Andrea Epicoco